Correva l’anno 1930 ed era il 19 marzo quando nacque. 87 anni dopo, il 26 dicembre 2017, Gualtiero Marchesi lasciava questo mondo dopo essere riuscito, in 87 anni, a dare un volto alla cucina italiana che prima, di certo, non aveva. Genio, artista, amante delle opere d’arti e della musica, Gualtiero Marchesi ha fatto scuola. Tanto che oggi una sua Scuola nella Reggia di Colorno, che chiamò Alma, “sforna” decine di ragazzi a cui fa fare stage e invita a cercare il genio creativo che è dentro di loro. Eppure, un anno e cinque mesi dopo la fine della storia di Gualtiero Marchesi, ci si chiede, in molti modi, che cosa possa restare della storia di vita e di professione che Gualtiero Marchesi ha vissuto e lasciato. Lo si chiedeva già quando lo chef controcorrente, che aveva persino scritto alla Michelin e chiesto di voler fare a meno delle stelle che gli avevano dato. Avevano interpellato diversi altri e noti chef per capire quale lezione fosse venuta dal genio milanese e Gualtiero Marchesi aveva chiesto che il film che raccontava la sua vita, il suo pensiero e il suo lavoro venisse presentato al pubblico come regalo di compleanno.
Così nelle sale italiane il 20 e il 21 marzo del 2018, a tre mesi dalla sua dipartita sopraggiunta prima che il lavoro fosse terminato, arrivò “Gualtiero Marchesi The Great Italian”, diretto dal regista Maurizio Gigola, con la colonna sonora originale del violoncellista Giovanni Sollima. Lo avevano visto, in anteprima, persino al Festival di Cannes di quello scorso anno. Poi la pellicola è arrivata a Milano, Venezia, Trieste e Firenze (tra le città più amate dallo chef, e in altri luoghi d’Italia. Fu un viaggio rievocativo ma anche un modo per conoscere meglio colui che negli anni 70 e 80 ha rivoluzionato la ristorazione italiana e, fino all’ultimo giorno della sua vita, considerato ogni cosa che potesse innovare con leggerezza e salubrità, la tradizione enogastronomica di un Paese magnifico e cario come l’Italia.
Nella sua ultima lectio magistralis tenuta nell’aula magna di Alma, la scuola internazionale di cucina italiana da lui creata e della quale è stato rettore ricordò che dietro ogni grande piatto c’è sempre un carico di “sentimento, piacere e pensiero”. Così è accaduto che, dopo la sua dipartita, la stessa Fondazione Gualtiero Marchesi, abbia incitato alla ultimazione di quel docufilm, sorta di biografia che si attraversa per immagini, musiche e testimonianze sia e direttamente del Maestro sia di persone che lo hanno conosciuto, capito, seguito, emulato o da cui sono stati, semplicemente e anche ispirati. I grandi cuochi francesi, soprattutto, Pierre e Michel Troisgros, Alain Ducasse, Marc Haeberlin e Yannick Alleno. Poi, non da meno, gli chef italiani Andrea Berton, Massimo Bottura, Simone Cantafio, Daniel Canzian, Carlo Cracco, Enrico Crippa, Alfio Ghezzi, Ernst Knam, Pietro Leeman, Paolo Lopriore, Davide Oldani. Ed, infine, personaggi di grande riferimento della gastronomia come Giorgio Pinchiorri, Arrigo Cipriani, Carlo Petrini, Eugenio Medagliani.
Sono tutti nel docufilm che lo scorso anno in marzo arrivò nelle sale italiane. per chi non lo avesse ancora visto ne consigliamo la visione senza dubbio. Anche in questo odo si è tentato di rispondere alle domande sulla grande eredità di valori e pensiero che ha lasciato Gualtiero Marchesi alla cucina italiana e la suo futuro. Ci sono i piatti con i quali Marchesi è diventato famoso nel mondo. Dal dripping di pesce con il piatto quadro dove protagonista è il colore. Si racconta che l’idea nacque come omaggio a Jackson Pollock che dipingeva, appunto, con la tecnica dello sgocciolamento. C’è il rosso-pomodoro, il verde-pesto, il nero di seppia) e il piatto diventa un quadro da mangiare seguito da un avvertimento che lui stesso faceva: “Come nell’arte ci sono originali e falsi, lo stesso avviene in cucina”. Arriva così il concetto, tutto marchesiano che “il bello puro è il vero buono” e chi prepara da mangiare deve sapere che la bellezza è la bontà.
Gualtiero Marchesi su il primo a dire che “fare sistema” è indispensabile per portare la cucina italiana ai livelli più alti in Italia e nel mondo. Il riferimento ai francesi fu inevitabile dacché se la cucina è stata la carta vincente per i francesi affinché si esportasse quel Paese nel mondo, l’Italia può fare anche meglio se considera le sue materie prime, le sue migliori produzioni. Una materia prima che va rispettata, esaltata. Disse: “Se ami la materia, svisceratamente, come il sottoscritto, sarà lei a suggerirti cosa fare per non snaturarla, snaturandone il gusto”.
Fu uno dei primi ad capire il valore che veniva dalla cucina nipponica. “I giapponesi – disse – sono maestri della scelta delle carni, del taglio, delle presentazioni essenziali. Non hanno bisogno di fingersi creativi”.
Quando arrivò, nel 1977, ad aprire a Milano il suo ristorante in via Bonvesin de la Riva, Gualtiero Marchesi intuiva già il connubio perfetto che poteva venire tra la materia prima e la creatività di uno chef. Disse che “dal 1948 già studiavo all’istituto alberghiero in Svizzera, poi ho viaggiato molto, in primis in Francia dove ho lavorato con i fratelli Troisgros. È lì che mi resi conto che il mio stile, sia pur ancora a livello embrionale e in modo quasi inconsapevole, già poteva essere definito d’avanguardia: una cucina professionale, fatta di preparazioni leggere, di piatti in cui l’obiettivo era la semplicità, l’attenzione alla materia”.
Stava nascendo così una cucina d’identità “nazionale” che non può né deve fare meno delle cucine regionali di cui si compone, a cui si ispira, di cui, in fondo, “si alimenta”.
E su ciò che può definirsi creatività non aveva dubbi. “Alcuni ironicamente dicono che creatività è nascondere bene le proprie fonti d’ispirazione, nel senso che nulla nasce dal nulla, ma tutto è l’evoluzione di scoperte precedenti. Le idee in fondo nascono nuove nelle menti di chi ha vaste conoscenze e le può sviluppare. Io non vado in cerca di nuove idee, ma le trovo, sotto forma di intuizioni e interpretazioni”.
Quando poi l’arte, che Gualtiero Marchesi amava, abbia influenzato le sua cucina è chiaro in molti tratti. Persino nella migliore definizione di cucina. “Innanzitutto – disse – la cucina è nutrimento se no, non è niente. È cultura ed è scienza, fatta di fisica e chimica. Quando diventa universale può trasformarsi in arte, altrimenti resta un mestiere”.
“Perché prima ancora che per la gola – continuò – le persone le voglio prendere per la testa. E lo si può fare con la padronanza della tecnica e il rispetto degli ingredienti. Ecco perché non ho bisogno di fronzoli, ma caso mai di semplificazione, di essenzialità, come dimostra il successo della penne con asparagi e tartufo”.
Del grande valore di una eredità culturale e pratica che Gualtiero Marchesi ha lasciato alla cucina italiana e a chi in essa muove i passi, siamo convinti che si parlerà a lungo e questo sarà solo un bene. Intanto, per tornare al film diretto dal regista Maurizio Gigola, è realizzato grazie al sostegno di Cantine Ferrari, illycaffè, Parmigiano Reggiano e S.Pellegrino, ci è sembrato, un anno fa come ora, un buon modo per rendere omaggio ad uno degli italiani che il mondo ci ha invidiato in vita così come in morte per il valore di ciò che è riuscito a fare, l’innovazione, il salto di qualità che ha determinato con le cose ha fatto.