di francesco de rosa |
Tu dici “Massimo” (che poi è anche l’indirizzo personale della sua posta elettronica) e ti aspetti la solita liturgia autoreferenziale di chi, sentendosi stellato, si mette su scranni comodi, ti parla del cibo e dell’arte di cucinarlo e di metterlo a tavola come fosse un guru. Poi dici “Viglietti” e si apre un mondo che non ti saresti aspettato. Fuor di distinguo e di separazioni tra nomi, cognomi e chef stellati, Massimo Viglietti è il contrario di ciò che può essere e sentirsi oggi uno chef stellato.
Di sé stesso e della sua cucina Massimo Viglietti diede, in poche battute, un identikit chiarissimo. “Sono sempre stato timido” – disse un giorno. “Sono cresciuto in contesti ristretti… La cucina è stato il mio modo per riconoscermi, e comunicare quello che sono. E dopo tanti anni ancora mi appaga, voglio morire spadellando, sentirmi ogni giorno come un bambino che entra nel negozio dei giocattoli. Il nostro è un mestiere meraviglioso, ma bisogna onorarlo, lavorare per passione, non per ambire ai riconoscimenti della critica. Sono stanco delle liturgie, stanco di lavorare solo per dimostrare a tutti i costi qualcosa, stanco degli chef esaltati che non staccano mai la spina, o che non si curano dei propri stagisti. Dobbiamo essere riconoscenti a un mestiere che ci permette di esprimerci, conoscere persone, crescere. Il problema del settore oggi è rappresentato dal fatto che non c’è un umanesimo intorno, si è persa la spiritualità”.
Figlio d’arte, nato ligure come il papà che è stato chef bistellato e la sua mamma che ha lavorato per anni nel ristorante di famiglia, Massimo Viglietti ha compiuto 60 anni non molto tempo fa ma il tempo per lo chef più ribelle ed irriverente che possa esservi è sempre e solo un modo per contare le emozioni che tengono vive le persone. Intanto da più lustri stellato Michelin anche lui, con la stessa umiltà di chi non si sente affatto sullo scranno, avendo deciso di lasciare dopo 6 anni la guida del Ristorante Achilli al Parlamento, lo stesso ristorante romano frequentato dal premier Conte che lo ha voluto nelle cucine di Palazzo Chigi durante la visita di Macron, per lo chef ligure è già iniziata una nuova sfida. Un luogo in mezzo allo stesso scenario della città, quella Roma che ha accolse Massimo Viglietti anni fa, capace di determinare mille e più traiettorie, è già da qualche tempo il posto dove ci si può sedere a tavola per gustare e degustare la sua cucina. Taki off è in via Marianna Dionigi 62 (piazza Cavour) a Roma “un ristorante che ristorante non è. Uno chef che chef non è. Uno staff che staff non è”. Con un programma dichiarato anzitempo. “Sappiamo di non poter accontentare tutti. Purtroppo vegetariani, vegani, crudisti, non riusciremo a servirli. Per i celiaci e altro, basterebbe saperlo. I bambini non credo riescano a divertirsi. Esse o erre erre ipsilon“.
Appena vi è arrivato, grazie all’incontro virtuoso tra lo chef ligure ed Onorio Vitti, imprenditore romano di grandi qualità umane e professionali che sposò la giapponese Yukari, e che, nel quartiere Prati, aprì ciò che rimane comunque uno dei primi ristoranti giapponesi aperti in Italia, il Taki. Assieme hanno voluto arricchire l’offerta enogastronomica con il “Taki off”. E a Massimo Viglietti, prima ancora che arrivasse in piazza Cavour è partita la sua tipica immaginazione…
“Lo immagino come un happening, una piece teatrale. Ci saranno dentro un mucchio di medaglie con il loro rovescio, tra Giappone e Mediterraneo, ma senza necessità di scomodare il fusion. Per giocare insieme agli ospiti, coinvolgerli in modo semplice, lineare, ma sempre diverso”. “Avremo una tavolo lungo a diretto contatto con la cucina, a vista. E qualche tavolo più riservato nella saletta adiacente. In totale circa 35 coperti, 4 persone comprese me a cucinare e servire, senza distinzioni di sorta. Vogliamo incuriosire la città, non è detto che l’idea si riveli di per sé redditizia, perché contiene una bella componente di rischio e follia. Ma nell’ambito di un sistema strutturato e diversificato come quello di Taki, si può osare”. E così hanno iniziato ad osare iniziando persino a sfidare il tempo del Covid che vuole costrizioni, distanze. Tutte osservate e tutto buono ad aprire spazi alternativi di creatività e di servizi. Oggi il “Taki off” è pienamente operativo. Attraversa il tempo della pandemia con rigorosa cautela. Prepara, mescola, inventa, riporta in tavola alimenti dalla chiara tracciabilità, li narra, li esalta crea connubi. Yukari Vitti con il marito Onorio hanno lasciato a Massimo Viglietti ogni libertà di osare. Il sottofondo musicale è stato scelto da lui quando arriva a tavola, per Taki Labò, quel che è stata l’anteprima di Taki off. Un insalata croccante, manzo, gamberi, ravioli, moka parmentier, anguilla-Wagyu, acciughe, ricci, caffè, spaghetto freddo, sardine. E ancora banana, caviale, gambero Yuzu.
Qui, più della carne Kobe che è sempre la più conosciuta nel panorama delle carni giapponesi di altissima qualità con la complicità della fama che gli è arrivata dagli Stati Uniti diventati i più grandi importatori di Kobe, c’è il culto ed il sapere di una qualità di carne ancora più pregiata. Viene da Wagyu che già letteralmente vuol dire “manzo giapponese” (和牛 Wagyū, dal giapponese “wa”: Giappone, e “gyū”: bue). Un animale che non viene allevato esclusivamente nella città giapponese di Kobe ma ad Hida un villaggio immerso nel verde delle Alpi giapponesi che un luogo ben più famoso per la qualità delle sue carni. In mezzo a quelle montagne il manzo Hida-Gyu (manzo di Hida), c’era già in tempi antichissimi. La certificazione agli allevatori di questo luogo arriva solo se essi rispettano regole molto rigide e restrittive, che prevedono e regolano tutte le fasi di produzione ed ogni suo aspetto, dall’allevamento alla preparazione per la vendita della carne ottenuta. Un tema caro proprio a Yukari Vitti, che lo racconta con dovizia di particolari.
“Il manzo Hida-Gyu è considerato dai giapponesi come una delle migliori carni del loro paese. Il manzo hida-wagyu nasce, viene allevato e preparato alla vendita nel suo stesso paese di origine, Hida, immerso nel verde delle Alpi Giapponesi, dove la natura è ancora incontaminata e le fattorie sono in prevalenza a conduzione familiare”.
Intanto Massimo Viglietti annota, approfondisce, mette assieme nuove visioni d’avvenire. Il suo consommé è con la moka ovviamente per non togliere alle sfumature di ogni sapore i contorni, le identità. Da un tuorlo ai gyoza ripieni, il gambero è a testa in giù e promette un gusto straordianrio se finisce sulla tartare di manzo dopo che ill palato ha già apprezzato il tapenade di olive e yogurt. Ben oltre l’effetto o la narrazione, che si presta all’enfasi ed alla poesia, val la pena segnalare che il Taki off è pienamente operativo a pranzo in ottemperanza alle disposizioni anticovid. La sera in delivery e take away è un modo alternativo per non restare senza intanto che questa pandemia possa davvero terminare e tutta la cucina italiana tornare, finalmente, in piena attività. Una rinascita che ci auguriamo vicinissima.